La biografia di Italo Svevo
La formazione di Italo Svevo
Italo Svevo (il cui vero nome è Aron Hector Schmitz) nacque a Triste il 19 dicembre 1861 da un’agiata famiglia borghese di origine ebraica. Triste, all’epoca, era sotto il dominio dell’impero austro-ungarico e fu annessa all’Italia solamente nel 1918. Ettore Schimtz fu il quinto degli otto figli di Allegra Moravia (italiana) e di Francesco Schimtz (ebreo di origine tedesca). La nascita in una città di confine permise a Svevo di avvicinarsi alla cultura della “Mitteleuropa” (Europa centrale), in cui confluirono molteplici tendenze ed etnie; scoprì anticipatamente le novità dell’area di lingua tedesca, tra cui gli scritti dello psicoanalista Sigmund Freud. Dopo aver trascorso un’infanzia felice, il padre lo indirizzò alla carriera commerciale e nel 1874 venne mandato, insieme a due fratelli, in Baviera, presso il collegio di Segnitz, per perfezionare la conoscenza della lingua tedesca. Rientrato in Italia, nel 1878, si iscrisse ai corsi serali dell’Istituto commerciale “Revoltella” di Trieste per completare gli studi; negli anni successivi, Italo Svevo divenne docente nello stesso istituto.
Il lavoro e la passione per la letteratura
Nel settembre del 1880 la ditta paterna fallì e la famiglia non giovava più di una buona situazione economica; Svevo fu pertanto costretto ad abbandonare gli studi e a trovare un impiego, come traduttore, nella filiale triestina della “Unionbank” di Vienna. Il lavoro in banca si protrasse per diciannove anni, arco di tempo in cui l’autore aveva maturato interessi per la letteratura e le arti: nella Biblioteca Civica di Trieste lesse gli autori classici della letteratura tedesca e poi quelli italiani; scoprì e apprezzò la nuova narrativa naturalista dello scrittore francese Émile Zola ed estese i propri interessi per la filosofia e la scienza. Approfondì lo studio di Nietzsche, di Schopenhauer, delle teorie evoluzionistiche di Darwin e della psicoanalisi di Freud.
Le prime opere
Svevo nel 1866 strinse una duratura amicizia con il pittore triestino Umberto Verdua. Nel frattempo compose testi teatrali e collaborò al quotidiano triestino “L’indipendente”, scrivendo articoli musicali e di critica letteraria (firmati con lo pseudonimo di Ettore Samigli) e pubblicando le prime opere di narrativa: “Una lotta” (1888) e il giallo psicologico “L’assassino di via Belpoggio” (1890).
Nel 1892 Svevo pubblicò a sue spese, dopo il rifiuto da parte dell’editore Traves di Milano, il primo romanzo, “Una vita”.
Il matrimonio e l’abbandono della letteratura
Nel 1896, Svevo, sposò la lontana cugina Livia Veneziani, più giovane di lui di tredici anni. Era figlia del ricco industriale Gioacchino Veneziani, l’inventore della formula chimica per vernici sottomarine. Tre anni dopo, nel 1899, Svevo poté dimettersi dalla “Unionbank” per lavorare nella prospera ditta del suocero.
Nel 1897 nacque la figlia Letizia. Nel contempo, l’autore, si dedicò alla stesura del secondo romanzo, “Senilità”, che apparve a puntate, nell’estate del 1898, sull’“Indipendente”. Il suo insuccesso, però, lo convinse, come aveva scritto in “Soggiorno Londinese” (1926), ad “abbandonare del tutto la letteratura” – “M’ero sposato, avevo una figlia e bisognava diventare seri”.
Il silenzio letterario
A partire dal 1898 iniziò per Svevo un periodo di apparente silenzio letterario, che si protrasse sino al 1923, anno di pubblicazione della “Coscienza di Zeno”. Dal 1901, per conto della ditta Veneziani, strinse relazioni d’affari in tutta Europa, compiendo numerosi viaggi soprattutto in Inghilterra (stato in cui il suocero aveva aperto una filiale). Dal 1902 al 1912 risiedette regolarmente, per diversi mesi dell’anno, a Londra.
Le ore libere le dedicò allo studio del violino.
L’amicizia con James Joyce
Nel 1906, quando aveva ripreso a lavorare ad alcune commedie, conobbe lo scrittore James Joyce, il quale insegnava inglese alla “Berlitz School” di Triste. Svevo ne divenne suo allievo per ragioni di lavoro. L’incontro favorì la nascita di un’amicizia fondata sui comuni interessi letterari.
L’interesse per la psicoanalisi
Nel 1910 Italo Svevo si avvicinò alla psicoanalisi, grazie alla presenza dello psichiatra Edoardo Weiss (allievo di Freud) a Trieste e in seguito alla cura del cognato Bruno Veneziani presso Freud a Vienna.
La ripresa dell’attività letteraria
Negli anni della Prima Guerra Mondiale, tra il 1914 e il 1918,Svevo si impegnò come imprenditore e ricavò altissimi profitti. Nel 1915 collaborò, per un breve periodo, al quotidiano triestino “La nazione” (prosecutore dell’”indipendente”) e frequentò il circolo irredentistico-patriottico del “Caffè Tergesteo”. Nel 1917, le autorità austriache, per motivi bellici, requisirono la ditta Veneziani e Svevo, avendo più tempo per sé, poté riprendere l’attività letteraria, sebbene non l’avesse mai abbandonata del tutto.
Tra il 1919 e il 1922, lo scrittore, elaborò il suo terzo romanzo: “La coscienza di Zeno”; pubblicato nel 1923 dall’editore Cappelli di Bologna, inizialmente non ebbe successo. Svevo ne inoltrò una copia all’amico James Joyce, che allora si trovava a Parigi, e il suo giudizio positivo indusse l’autore ad inviare l’opera a due critici francesi (i critici “italianisti”), Benjamin Crémieux e Valery Larbaud, i quali, entusiasti, nel 1926 dedicarono al romanzo un intero numero dell’importante rivista letteraria “La Navire d’Argent”. In Italia, nel 1925, il giovane poeta Eugenio Montale aveva scritto sulla rivista milanese “L’esame” un saggio intitolato “Omaggio a Svevo”.
Gli ultimi anni
Tra il 1926 e il 1927 scoppiò il “caso Svevo”: lo scrittore, ormai sessantenne, conobbe per la prima volta la notorietà. Iniziò la stesura di numerosi testi tra commedie e racconti (“Corto viaggio sentimentale” e “La novella del buon vecchio e della bella fanciulla”, entrambi incentrati sui temi della vecchiaia, della scrittura e della malattia). Iniziò altresì a scrivere un quarto romanzo, “Il vecchione” o “Le confessioni del Vegliardo”, ma, proprio mentre stava lavorando agli abbozzi, morì improvvisamente il 13 settembre 1928 a Motta di Livenza (provincia di Treviso), a causa di un incidente stradale.
RIASSUNTO
La formazione di Italo Svevo
Italo Svevo (il cui vero nome è Aron Hector Schmitz) nacque a Triste il 19 dicembre 1861 da un’agiata famiglia borghese di origine ebraica. Dopo un’infanzia felice, il padre lo indirizzò alla carriera commerciale e nel 1874 venne mandato in Baviera, presso il collegio di Segnitz, per studiare il tedesco.
Nel 1868, rientrato in Italia, Svevo si iscrisse ai corsi serali dell’Istituto commerciale “Revoltella” di Trieste per completare gli studi.
Il lavoro e la passione per la letteratura
In seguito al fallimento della ditta del padre nel 1880, Svevo abbandonò gli studi e iniziò a lavorare, come traduttore, nella filiale triestina dell’“Unionbank” di Vienna.
Lavorò in banca per diciannove anni, arco di tempo in cui l’autore maturò interessi per la letteratura e le arti. Lesse gli autori classici e la narrativa naturalistica di Émile Zola.
Le prime opere
La sua carriera da scrittore iniziò con la composizione di testi teatrali e con la collaborazione al quotidiano triestino “L’indipendente”, per cui scriveva articoli musicali e di critica letteraria. Nel 1892, Svevo, pubblicò a sue spese, dopo il rifiuto da parte dell’editore Traves di Milano, il primo romanzo, “Una vita”: opera che non ottenne successo.
Il matrimonio e l’abbandono della letteratura
Nel 1896 Svevo sposò la lontana cugina Livia Veneziani, figlia del ricco industriale Gioacchino Veneziani, e nel 1899 poté dimettersi dalla “Unionbank” per lavorare nella prospera ditta del suocero. Nel 1897 nacque la figlia Letizia. Nel contempo si dedicò alla stesura del secondo romanzo, “Senilità”, che apparve a puntate, nell’estate del 1898, sull’“Indipendente”. Il suo insuccesso, però, lo convinse ad abbandonare la letteratura.
Il silenzio letterario
A partire dal 1898 iniziò per Svevo un periodo di apparente silenzio letterario. Nel 1901, per conto della ditta Veneziani, strinse relazioni d’affari in tutta Europa e dal 1902 al 1912 risiedette, per alcuni mesi dell’anno, a Londra.
L’amicizia con James Joyce e l’interesse per la psicoanalisi
Dopo aver ripreso a lavorare ad alcune commedie, nel 1906 conobbe lo scrittore James Joyce, allora docente di inglese alla “Berlitz School” di Triste. I due letterati strinsero subito amicizia. Nel 1910, Svevo, si avvicinò alla psicoanalisi, grazie alla presenza dello psichiatra Edoardo Weiss a Trieste e in seguito alla cura del cognato Bruno Veneziani presso Freud a Vienna.
La ripresa dell’attività letteraria
Nel 1915, Svevo, collaborò, per un breve periodo, al quotidiano triestino “La nazione”. Successivamente (1917) la ditta Veneziani dovette chiudere a causa della Prima Guerra Mondiale e lo scrittore poté nuovamente dedicarsi alla letteratura.
Tra il 1919 e il 1922, Svevo, scrisse il terzo romanzo, “La coscienza di Zeno”, che, inizialmente, non ottenne successo. Grazie all’interessamento dell’amico James Joyce, nel 1926 la critica francese lanciò l’opera e ne seguì un successo internazionale. In Italia, nel 1925, Eugenio Montale dedicò all’opera un saggio intitolato “Omaggio a Svevo”.
Gli ultimi anni
Svevo, ormai famoso, scrisse numerosi testi tra commedie e racconti. Iniziò anche ad abbozzare un quarto romanzo, rimasto incompiuto a causa della sua morte improvvisa (incidente stradale), avvenuta il 13 settembre 1928 a Motta di Livenza (Treviso).