La biografia di Paolo Borsellino e la strage di via D’Amelio
Sono trascorsi trent’anni dalla strage di Via D’Amelio a Palermo: 19 luglio 1992 – 19 luglio 2022. Per rimembrare il magistrato Paolo Borsellino vi propongo la sua biografia.
La famiglia
Paolo Emanuele Borsellino, figlio secondogenito di Diego Borsellino e di Maria Pia Lepanto, nacque il 19 gennaio 1940 nel quartiere popolare Kalsa di Palermo, città siciliana in cui la famiglia possedeva una farmacia. Aveva due sorelle, Adele e Rita, e un fratello minore, Salvatore.
Gli studi
Terminati gli studi classici al Liceo “Giovanni Meli”, nel 1958 si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Palermo. Nel 1959 si iscrisse al Fronte Universitario d’Azione Nazionale, di cui divenne membro dell’esecutivo provinciale e rappresentante studentesco nella lista del “FAUN Fanalino”.
Nel 1962, all’età di 22 anni, si laureò con lode presentando una tesi su “Il fine dell’azione delittuosa”.
La perdita del padre
Pochi giorni dopo la laurea di Paolo, a causa di una malattia, il padre Diego morì e il secondogenito si impegnò con l’Ordine dei Farmacisti per mantenere attiva la farmacia di famiglia, sino al conseguimento della laurea in Farmacia della sorella Rita (1967).
Durante questi anni la farmacia fu data in gestione per un affitto di 120.000 lire al mese, lasciando la famiglia con qualche difficoltà. Paolo ottenne l’esonero dal servizio militare di leva in quanto risultava l’“unica fonte di sostegno”.
L’ingresso nella magistratura
Nel contempo (1963), Paolo vinse il concorso di accesso alla magistratura, divenendo allora il più giovane magistrato d’Italia. Il suo primo incarico lo ottenne al tribunale di Enna (sezione civile). Nel 1967 venne nominato Pretore a Mazara del Vallo e nel 1969 Pretore a Monreale, dove lavorò insieme al Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile.
Nel 1975 lavorò nell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo ove si occupò dei clan mafiosi della città proseguendo le indagini iniziate da Boris Giuliano (ucciso nel 1979). Borsellino instaurò subito un buon rapporto con il nuovo capo dell’Ufficio Istruzione Rocco Chinnici e collaborò a una nuova sperimentazione per combattere la mafia. Il 4 maggio 1980 il capitano Basile venne ucciso e Borsellino assegnò una scorta alla famiglia.
Il pool antimafia e il periodo all’Asinara
Rocco Chinnici istituì un “pool antimafia” (un gruppo di giudici che si occuparono dei reati di stampo mafioso) per combattere contro la mafia e per diminuire il rischio di essere assassinati da Cosa Nostra. Aderirono al pool anche i magistrati Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Giuseppe di Lello e Leonardo Guarnotta.
Per approfondire
Il 29 luglio 1983 Chinnici fu ucciso insieme a due agenti della sua scorta e al portiere del suo condominio. Pochi mesi dopo venne nominato capo dell’Ufficio Antonio Caponnetto, che giunse a Palermo da Firenze.
Proseguirono le indagini e il pool iniziò a ricevere le prime dichiarazioni da collaboratori di giustizia (i pentiti) quali Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno. Nel 1985, per motivi di sicurezza, Borsellino e l’amico Falcone, con le relative famiglie, furono ospitati nella foresteria del carcere dell’Asinara per redigere gli atti necessari (8000 pagine) all’istruzione del Maxi Processo di Palermo (reso altresì possibile grazie alle confessioni dei pentiti) contro Cosa Nostra; iniziò in primo grado il 10 febbraio 1986 presso un’aula bunker, appositamente costruita, del carcere dell’Ucciardone di Palermo e si concluse nel 1987 con 360 condannati.
Borsellino procuratore a Marsala e lo scioglimento del pool
Il 19 dicembre 1986 Borsellino fu nominato Procuratore della Repubblica di Marsala.
A seguito del congedo di Caponnetto dall’Ufficio istruzione (motivi di salute) e al trasferimento di Falcone a Roma quale Direttore degli Affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia, il 19 gennaio 1988 il Consiglio superiore della magistratura nominò Antonino Meli quale capo dell’Ufficio istruzione.
Nel novembre 1991 il magistrato, in collaborazione ai suoi sostituti procuratori Massimo Russo e Alessandra Camassa, raccolse alcune dichiarazioni di Piera Aiello e della cognata Rita Atria (testimone di giustizia) che gli permisero di arrestare numerosi mafiosi delle città di Partanna, Sciacca e Marsala oltre ad avviare un’indagine sull’onorevole Vincenzino Culicchia (sindaco di Partanna per trent’anni).
Nel 1992 Borsellino tornò al Tribunale di Palermo in qualità di Procuratore aggiunto per coordinare l’attività distrettuale antimafia e concluse le indagini derivate dalle dichiarazioni di Vincenzo Calcara (pentito). Furono 43 gli ordini di cattura contro i mafiosi di Castelvetrano.
La penultima intervista
Il 21 maggio 1992, due giorni prima dalla strage di Capaci, Paolo Borsellino rilasciò la sua penultima intervista ai giornalisti di Canal+ Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi, in cui parlò anche dei legami tra Cosa Nostra e l’ambiente del Nord Italia (in particolare quello milanese).
Gli ultimi due mesi di vita
Borsellino, profondamente colpito dalla morte del suo caro amico e collega Falcone (23 maggio 1992), proseguì nel suo intento lavorando freneticamente, sebbene fosse a conoscenza di essere il prossimo bersaglio di Cosa Nostra.
Il 25 giugno tenne il suo ultimo discorso nell’atrio della biblioteca di Casa Professa per un dibattito organizzato dalla rivista “Micromega”.
In data 30 giugno, 1° luglio e 17 dello stesso mese si recò negli uffici romani del “Servizio Centrale Operativo” della Polizia di Stato per interrogare un altro nuovo collaboratore di giustizia, Leonardo Messina. Messina spiegò al magistrato il funzionamento della ripartizione degli appalti pubblici e privati tra Cosa Nostra e i politici.
Il procuratore uscente di Caltanissetta, Salvatore Celesti, non intendeva assumere iniziative a seguito della strage di Capaci e aspettava l’insediamento del suo successore, Giovanni Tinebra; Borsellino diede immediata disponibilità al trasferimento nella città di Caltanissetta per collaborare all’inchiesta. Il Consiglio superiore della magistratura non ritenne opportuno conferire detto incarico al magistrato. Paolo chiese comunque di essere sentito dalla Procura di Caltanissetta per chiarire alcuni aspetti importanti e, dopo vari tentativi, il magistrato Tinerba, insediatosi il 15 luglio, lo convocò per il 20 luglio.
La strage di via D’Amelio
Vincenzo Calcara, un pentito di Cosa Nostra, già nel ’91 avvisò Borsellino che era pronto un piano per la sua uccisione. Il magistrato rifiutò, proprio per questa ragione, una protezione eccessiva: la sua paura era che la mafia si rivolgesse a un membro della sua famiglia.
Domenica 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, il giudice si recò a Palermo in via D’Amelio 21 presso l’abitazione della madre e della sorella Rita. Intorno alle 16,58 una Fiat 126 imbottita di tritolo, parcheggiata sotto l’abitazione di Maria Pia, esplose al passaggio del giudice, togliendo la vita a lui e ai suoi cinque agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Si salvò l’agente Antonino Vullo, poiché impegnato a parcheggiare un’automobile della scorta poco distante dalla tragedia.
Il 24 luglio circa 10.000 persone parteciparono al funerale privato di Borsellino, celebrato nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, luogo in cui il giudice era solito sentir messa nelle domeniche di festa.
«Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi», pronunciò il magistrato Antonino Caponnetto durante le esequie.