ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS – UGO FOSCOLO
Presentazione dell’opera
Le “Ultime Lettere di Jacopo Ortis” sono il capolavoro in prosa di Ugo Foscolo e rappresentano il capostipite del moderno romanzo italiano. In particolare, si tratta di un romanzo epistolare1 (il primo romanzo epistolare della letteratura italiana) a sfondo sentimentale. Quando Foscolo ideò il piano dell’opera, nel 1796, assegnò come titolo “Laura – Lettere”, ma nel 1798 l’editore Marsigli di Bologna pubblicò la prima edizione con il titolo “Ultime Lettere di Jacopo Ortis” e con il sottotitolo “Vera storia di due amanti infelici”.
La prima edizione è una versione incompleta e non autorizzata: si pensa che Foscolo, probabilmente a causa degli impegni militari, avesse consegnato all’editore solamente una parte dell’opera e che quest’ultimo, per pubblicarla, avesse incaricato Angelo Sassoli (scrittore bolognese) di completarla.
Foscolo, amareggiato, si rimise al lavoro e nel 1802 pubblicò la seconda edizione del romanzo, che ottenne grande successo. Nel 1803 venne diffusa la terza edizione e nel 1817 esordì, nella sua versione definitiva, la quarta edizione.
L’azione del romanzo è narrata attraverso 62 lettere, scritte da Jacopo all’amico Lorenzo Alderani dall’ottobre 1797 al marzo 1799. Lorenzo, dopo il suicidio di Jacopo, finse di pubblicarle, aggiungendo una presentazione, qualche collegamento narrativo e descrivendo la tragica morte del protagonista.
I nomi dei due personaggi (Jacopo e Lorenzo) sono un omaggio a due autori amati da Foscolo: Jacopo rimanda a Jean-Jacques Rousseau e Lorenzo al romanziere Laurence Sterne. Anche la diversità tra Jacopo, cupo e appassionato, e Lorenzo, posato e riflessivo, ripropongono le personalità dei due scrittori.
La trama – a cura del mio amico Marco Martini, professore di Storia e Filosofia al Liceo Scientifico “Barsanti E Matteucci” di Viareggio
Lo stile è talvolta polemico (quando si parla di politica antiasburgica) e talora pacato (nei momenti di descrizione naturalistica, psicologica e negli attimi di immersione sentimentale). Nella composizione di questo romanzo autobiografico, l’autore si è sicuramente ispirato a “I dolori del giovane Werther” di Wolfgang Goethe (1774), ma con una novità: la presenza del motivo politico.
È un romanzo autobiografico in quanto Jacopo non è altro che la proiezione di Foscolo, con la differenza che il poeta non arrivò mai al suicidio, malgrado avesse decisamente e drammaticamente manifestato, in quest’opera, la profonda delusione dei patrioti italiani per il trattato di Campoformio – con cui Napoleone Bonaparte cedette il Veneto (una delle “due patrie” di Foscolo) e la Dalmazia all’Austria (17 ottobre 1797) in cambio del Belgio, che passava sotto il dominio francese. Sconfortato, Jacopo decise di abbandonare Venezia e di rifugiarsi come profugo politico sui Colli Euganei (presso Padova), dove conobbe un altro rifugiato (il signor “T”) e le sue due figlie: Isabellina e Teresa; Jacopo si innamorò di Teresa, “la divina fanciulla”, ma questa, di casata nobile ma finanziariamente precaria, era già promessa sposa di Odoardo, un uomo ricco ed insignificante, ma onesto. Con l’intento di allontanarsi da Teresa, che gli aveva confessato, inutilmente (per l’opposizione del padre di lei), di corrispondere i suoi stessi sentimenti, Jacopo decise di lasciare la campagna per rifugiarsi a Padova, ma, disgustato dai corrotti costumi della buona società cittadina, tornò da Teresa, mentre Odoardo era in giro per affari, i due giovani vissero momenti di inquieto amore. Jacopo ricevette un bacio dalla fanciulla, pur sapendo che il suo era un amore senza speranza (“non posso essere vostra mai!” – confessò Teresa all’amante), il protagonista si abbandonò a questa gioia. Il ritorno di Odoardo e le più pressanti persecuzioni del regime austriaco, indussero Jacopo alla fuga. Iniziò così il suo pellegrinaggio per l’Italia, viaggiò a Bologna, a Firenze – ove visitò le tombe di Santa Croce-, a Milano, dove ebbe un celebre colloquio con il vecchio Giuseppe Parini, poeta della coscienza civile italiana. Giunse sino ai confini con la Francia, qui conobbe un giovane patriota, anch’egli profugo da Venezia e senza una meta; vagabondava, in miseria, con la tenera sposa ed un figlio febbricitante. In seguito, a Ventimiglia salì sul monte più alto per meditare sulle alterne vicende dei popoli e della storia, rette da un fato cieco ed imperscrutabile; definì la Terra come “una foresta di belve”. Stremato fisicamente e psicologicamente, infine, decise di tornare in Veneto, dove intanto Teresa si era sposata con Odoardo. Corse a Venezia per abbracciare un’ultima volta la madre e infine, dilaniato dal duplice dramma, politico, poiché l’Italia fu asservita allo straniero, e sentimentale, si uccise con una pugnalata al cuore, baciando il ritratto di Teresa.
Prosegue il prof. Marco Martini…
Il romanzo è una miniera dei grandi temi della poetica foscoliana: l’amore, la patria, l’esilio, la bellezza (riscontrabile nella figura di Teresa), la natura (lieta o triste, conforta sempre maternamente l’animo di Jacopo), il sepolcro (inteso come simbolo di una corrispondenza d’amore che lega gli uomini). Anche se vittime inattive e figure sbiadite, la madre di Jacopo e la madre di Teresa sono figure di aiuto per il giovane studente intellettuale, mentre l’aiutante di Odoardo è il padre di Teresa, quasi secondo antagonista di Jacopo. Odoardo è la proiezione rovesciata di Jacopo, il suo vero antagonista, che assume i connotati di un uomo senza qualità (“la sua faccia non diceva nulla”), è freddo e inespressivo, un borghese dal cuore “così morto” e dotato di una “ragione fredda e calcolatrice”, sicuramente inadatto e infatti non corrisposto da Teresa, una creatura ‘stilnovista’, delicata e gentile, una “divina fanciulla”, semplice affetto domestico, bellezza da contemplare.
Eroe del romanzo è invece Jacopo, per il quale il suicidio non è una fuga negativa, ma un atto eroico: Jacopo è un eroe alfieriano che lotta contro ogni tirannide, sia quella politica che quella dei pregiudizi aristocratici della vita moralistica borghese e trova solo nella morte la completa libertà dai vincoli della vita, come appunto gli eroi di Vittorio Alfieri, quali Mirra e Saul. La lotta di Jacopo è una lotta alfieriana in quanto preromantica: anticipa il Romanticismo perché la lotta si svolge all’interno di un solo polo, di un solo soggetto, mentre nel Romanticismo la lotta investe due soggetti (ad esempio, i patrioti e i soldati austriaci nel Risorgimento).
Per approfondire – Erik Lazzari
Nel romanzo sono evidenti differenti spunti autobiografici: attraverso la figura di Jacopo, infatti, Foscolo esprime l’impetuosa delusione storica della sua generazione che, successivamente alle illusioni di libertà e giustizia ispirate dalla Rivoluzione francese, si era trovata testimone della nuova tirannide napoleonica in Italia. Inoltre, Foscolo proietta sull’eroe del romanzo anche le vicende sentimentali, l’amore di Jacopo per Teresa sembra accentrare su di sé tutte le tormentate passioni di Foscolo: da quella per Isabella Roncioni (promessa sposa a un altro uomo), a quella per Teresa Pichler (moglie di Vincenzo Monti), dalla quale prende il nome la donna amata da Jacopo e infine a quella per Antonietta Fagnani Arese.
Tuttavia, basandosi sulla biografia dell’autore e sulla trama dell’opera, si evince che le vicende dell’uno e dell’altro (Foscolo e Jacopo) trovano una ben diversa soluzione al crollo delle illusioni (politiche e sentimentali): il suicidio di Jacopo rappresenta una sorta di protesta e di autoaffermazione, mentre Foscolo si avvale della letteratura come pratica di testimonianza di sé e di rivendicazione di immortalità.
“I dolori del giovane Werther” di W. Goethe è fonte di ispirazione per Foscolo
Il romanzo “I dolori del giovane Werther” venne pubblicato nel 1774 ed è uno dei principali riferimenti per la stesura de le “Ultime Lettere di Jacopo Ortis”. Nel 1816, Foscolo venne accusato di avere plagiato il “Werther”, ma si difese affermando di aver letto il romanzo di Goethe solamente dopo aver completato la prima stesura della sua opera. È però fondamentale ricordare che Foscolo inviò allo scrittore tedesco l’Ortis già nel gennaio del 1802, insieme alla notizia che Antonietta Fagnani Arese stava traducendo il Werther in italiano.
Da “I dolori del giovane Werther”, Foscolo riprese la struttura, il tema dell’amore fatale, la personalità passionale e tempestosa del protagonista e la sua tragica fine, ma con una grandiosa novità: Jacopo non solo era infelice in amore, ma era altresì impossibilitato a riconoscersi in una patria (Venezia ceduta da Napoleone agli austriaci) senza la forza di risorgere e di rivendicare la propria indipendenza. È proprio a causa di questo contrasto che è sorto il pessimismo disperato di Jacopo, per il quale nessuna soluzione è possibile se non la morte.
1)Epistolare: il romanzo epistolare non presenta un ritmo narrativo diretto, ma si affida allo scambio di lettere tra personaggi.
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Ringrazio il Prof. Marco Martini per la collaborazione e Alessio Cuccu per la splendida e inedita grafica!
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